Alfonsina Storni

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    Alfonsina Storni è nata il 22 maggio 1892 a Sala Capriasca. Sbarcò a soli 4 anni in Argentina. Visse a Santa Fè, Rosario e Buenos Aires. Il padre aveva una fabbrica di birra e un'impresa di costruzione.
    Alfonsina scriveva poesie, faceva l'attrice e studiava per diventare maestra.
    A 20 anni ha avuto un figlio che ha allevato da sola.
    Quando visse a Buenos Aires, lavorò in fabbrica, in ufficio.
    Si tolse la vita al Mar de la Plata all'età di 46 anni, il 25 ottobre del 1938.
    E' diventata poetessa nazionale ed è una delle poetesse più celebrate.


    Tu che giammai....

    Per capriccio m'hai sabato baciato,
    per capriccio di maschio audace e fino;
    ma grato fu il capriccio mascolino
    a questo cuore, mio lupetto alato.

    Non ch'io creda: non credo. Se curvato
    sulle mie mani ti sentii, divino,
    che me ne inebbriai, so questo vino
    non e' per me; ma il giuoco, ormai, e' avviato.

    Io son la donna che giˆ vive accorta;
    in te tremendo il maschio prende avvio.
    Sembri un torrente che al fiume si porta,

    e piu' ti gonfi, mentre corri e predi.
    Resistere che val? Tu mi possiedi,
    tu che giammai sarai del tutto mio.


    Due parole

    Questa notte all’orecchio m’hai detto due parole.
    Due parole stanche
    d’esser dette. Parole
    così vecchie da esser nuove.
    Parole così dolci che la luna che andava
    trapelando dai rami
    mi si fermò alla bocca. Così dolci parole
    che una formica passa sul mio collo e non oso
    muovermi per cacciarla.
    Così dolci parole
    che, senza voler, dico: "Com’è bella la vita!"
    Così dolci e miti
    che il mio corpo è asperso di oli profumati.
    Così dolci e belle
    che, nervose, le dita
    si levano al cielo sforbiciando.
    Oh, le dita vorrebbero
    recidere stelle.

    Alfonsina Storni
     
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  2. doriana puglisi
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    Non conoscevo quest'autrice :clapclap: :grassie:
     
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  3. ghèrie
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    CHE DIREBBE

    Che direbbe la gente, vuota d'ogni follia,
    Se in un giorno fortuito, per ultrafantasia,
    Mi tingessi i capelli di viola e d'argento,
    Mettessi un peplo greco e coi capelli al vento,
    Con un serto di fiori: myosotis o gelsomini,
    Cantassi per le strade al suono dei violini,
    O dicessi i miei versi correndo per le piazze,
    Con il mio gusto libero da volgari corazze?

    Affollando le strade verrebbero a guardarmi?
    Come una fattucchiera vorrebbero bruciarmi?
    Campane suonerebbero per richiamare a messa?

    A ridere, pensandoci, da sola mi son messa

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    In fondo al mare
    c'è una casa
    di cristallo.
    A un viale
    di madrepore
    guarda.
    Un grande pesce d'oro
    alle cinque
    viene a salutarmi.
    Porta per me
    un rosso mazzo
    di fiori di corallo.
    Dormo in un letto
    un pò più azzurro
    del mare.
    Un polipo
    mi fa l'occhiolino
    attraverso il cristallo.
    Nel bosco verde
    che mi circonda
    -din don... din dan-
    cantano e si dondolano
    le sirene
    di madreperla verdemare.
    E sulla mia testa
    bruciano, nel crepuscolo
    le irruvidite punte del mare.


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    RUOTA

    La casta, intima amica dice le sue ragioni:
    Son giovane e non vivo. Mio marito? Uno sbaglio.
    Ho tré figli e vedo ruotare anno per anno
    come in un lento sogno privo di emozioni.
    A volte io spalanco, tentata, i miei balconi
    per veder l'uomo fine, il superbo, l'ombroso.
    Inutile! Potessi guarir di questo male!
    Ahi, lamor non è giucco che aggiusti delusioni.
    Le attenua forse, ma gli uomini, amica,
    non valgono la pena d'una prova; respinge
    il mio cuore, assediato, le lor più alte lusinghe.
    Ho il corpo perfetto e la bocca di rosa,
    all'amore più alto io ero destinata,
    ma nascondo il mio fuoco sotto un velo di suora.
    M'abbandonò. In fretta attraversò la strada,
    con la manica scura rasentando la chiara
    cinta di una passante che andava fra la gente.
    Seguii per un poco il cappello fuggente...
    poi divenne, lontano, una macchia di ruggine
    e l'inghiottì di nuovo la spessa moltitudine.

    Alfonsina Storni

     
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  4. ghèrie
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    Il tuo amore mi aveva ricoperto il cuore di muschio
    e mi faceva scendere fino ai polpastrelli il suo soffice velluto.
    Provavo pena del legno morto, degli animali aggiogati,
    degli esseri dietro un’inferriata,
    della pianta che si sprofonda senza trovar nutrimento,
    della pietra orizzontale incassata nella via,
    dell’albero prigioniero fra due case.
    La luce, toccandomi, mi feriva e gli occhi d’un bimbo
    scioglievano
    il fiume di lacrime che mi opprimeva il petto.

    Alfonsina Storni

     
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  5. ghèrie
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    VITA

    I miei nervi stanno impazzendo, nelle vene.
    Il sangue ribolle, liquido di fuoco
    Salta dalle mie labbra ove finge poi
    L'allegria di tutte le sagre.

    Ho il desiderio di ridere, le afflizioni,
    Che da domare a volontà non dichiaro.
    Oggi con me non giocano ed io gioco.
    Con la tristezza blu di cui esse sono piene.

    Il mondo palpita; la sua armonia tutta
    La sento così vibrante che la faccio mia
    Quanto mescere nel suo verso d’incantatrice.
    Sarà perchè ho aperto la finestra un momento fa

    E nelle finissime ali del vento
    mi ha portato il suo sole la Primavera!

    Alfonsina Storni

     
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  6. ghèrie
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    POTREBBE ESSERE

    Potrebbe essere che ciò che nel verso ho sentito
    Non fosse altro che ciò che mai ha potuto essere,
    Non fosse altro che qualcosa di vietato e represso
    Di famiglia in famiglia, di donna in donna.

    Dicono che nei solari della mia gente, era indicato
    tutto quello che si doveva fare...
    Dicono che le donne della mia casa materna
    fossero silenziose... Ah, bene poteva essere...

    A volte in mia madre spuntarono desideri
    di liberarsi, ma le saliva agli occhi
    un'onda di amarezza, e nell'oscurità piangeva.

    E tutto questo travaglio, vinto, mutilato,
    Tutto questo stava racchiuso nella sua anima,
    Penso que senza volerlo, io l'ho liberato.

    - Alfonsina Storni -

     
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5 replies since 19/7/2007, 00:34   274 views
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