LA BELLA PSICHE

due modi di interpretare il mito

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  1. Sapphyr
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    Si chiamava Psiche, come chi dicesse Anima, perche' gli antichi Greci chiamavano l'anima con la parola "psuke"; ed era tanto leggiadra, aggraziata ed incantevole di modi, che chi la vedeva la giudicava piu' bella di Venere, la stessa dea della bellezza.

    Nei suoi occhi brillava la serenita' dei cieli primaverili, il suo corpo era piu' flessuoso delle giunchiglie, la sua voce era dolce come la musica di un flauto in una notte stellata.

    - Chi la sposera' - diceva la gente che l'avvicinava - sara' l'uomo piu' felice della terra. I suoi genitori erano ansiosi di conoscere quale sorte avrebbe riserbato il destino a quella delicata creatura e per apprendere qualche cosa sul suo avvenire, pensarono di consultare un oracolo.

    Il responso della Sibilla fu preciso e impressionante. - Non un uomo - rispose la sacerdotessa interrogata - sposera' questa fanciulla, ma il piu' bello, misterioso e perfido degli dei. Il suo destino e' segnato irrevocabilmente. Vestita dei suoi abiti nuziali, ponetele sulla testa una corona dii fiori d'arancio, accompagnatela sulla cima di un'alta rupe e lasciatela sola.

    Gli dei provvederanno al resto. -

    Si sa che nessuno puo' sottrarsi al proprio destino. Se quella era la sorte decretata dalla divinita' all'incantevole Psiche, bisognava ubbidire. I genitori la vestirono coi suoi abiti di sposa, le intrecciarono fra i capelli una coroncina di zagare e condottola sopra un alto poggio alquanto lontano dalla citta', ve l'abbandonarono con molte lacrime.

    Ma la fanciulla, inebriata dalla propria bellezza, non pianse. Ella sapeva di essere riserbata a un alto destino, a diventare la compagna di un essere immortale, e sorrideva al suo sogno di felicita'. Parlava coi fiori, interrogava le nubi che si sfioccavano all'orizzonte come roseti misteriosi, ascoltava le musiche delle api e dei ruscelli e si abbandonava alle carezze odorose dei venti.

    Forse quei suoni e quelle carezze erano i messaggeri del bello iddio che sarebbe venuto a portarla con se', per renderla felice in qualche incantevole giardino, ai confini della terra. Ed ecco un giorno scesero sul poggio, dove attendeva, i venti piu' soavi e profumati che annunziavano la primavera: lo Zeffiro lieve con le ali variopinte e leggere come quelle delle farfalle, il Favonio che culla i sogni dei fiori nei loro calici e il vento alcionio che nel mese di marzo soffia sulle schiume delle onde per proteggere i nidi degli uccelli marini; gonfiarono le vesti candide della fanciulla come ali, entrarono nei suoi capelli fini come l'oro e la sollevarono in alto.

    Beata ed immemore di tutto Psiche volo' verso il cielo come una bianca colomba, e dopo un lungo viaggio che fu come un sogno, discese in mezzo alle piante di un meraviglioso giardino. Nesun poeta potrebbe descrivere la bellezza di quel luogo di delizie, dove pareva che tutti i fiori e tutte le piu' fresche e odorose verdure vi si fossero adunati per un folle capriccio della primavera. Su quel giardino il cielo era di una serenita' immutabile e paradisiaca, il sole versava i suo tepore dolce e denso come il miele, e sotto quel sole, come per virtu' d'incanto, i fiori esalavano la loro anima profumata ad ogni tramonto e rinascevano piu' belli alla prima aurora. Le violette dai timidi occhi inumiditi, gli anemoni screziati, i tulipani alteri e i languidi narcisi che si specchiano nelle correnti dei ruscelli; le rose esuberanti, come ninfe che emergono dal bagno in tutto il fulgore della loro bellezza, i giacinti purpurei e azzurri che scuotono le loro campanule cariche di rugiada, pare confidino soavi segreti alle carezze del vento; il giglio che leva in alto la sua coppa che par tinta dalla bianca luce lunare, la tuberosa inebriante, i tremuli mughetti, gli asfodeli dallo spirito misterioso; tutti i fiori piu' rari, quelli che nascono nelle piu' remote latitudini e maturano i piu' inebrianti profumi, popolavano le aiuole di quel giardino e prosperavano in pace e in letizia come una divina famiglia.

    Nei laghetti e nei gorelli che aprivano verso l'alto il loro occhio tranquillo, specchiando le nubi, si aprivano meravigliose ninfee, alcune bianche come la spuma, altre rosse come i tappeti dell'aurora. Sui margini crescevano giuncheti flessibili e fruscianti canneti, che imitavano nel loro murmure meridiano la voce del flauto di Pan. I viali coperti di erba morbida come il velluto erano circondati da siepi di gelsomino i cui fiori piccoli e bianchi davano l'idea di una nevicata celeste.

    Su quel popolo di fiori e di erbe profumate le stelle versavano le coppe della piu' soave rugiada, si che al mattino tutto il giardino somigliava alla testa imbrillantata di una ninfa, e gli insetti, aerei navigli carichi di polline, volavano sui calici, portando dall'uno all'altro amorosi messaggi. Le api, in grappoli ronzanti, si attaccavano ai rami, e nel cavo degli alberi fabbricavano le loro arnie odorose.

    Gli usignoli timidi che amano la quiete e il silenzio, intrecciavano i loro nidi nelle siepi, e quando scendeva la sera e i veli del sonno calavano cinerei dalle alte regioni del crepuscolo, iniziavano la loro aerea converazione, chiamandosi e rispondendosi con melodiosi garriti, e parlando il loro linguaggio misterioso con le misteriose geometrie delle stelle.

    Allora uscivano dal segreto delle foglie, dove stavano nascoste, le lucciole con in mano le loro lucernette dìoro, e guidavano la bella Psiche nel luogo appartato del suo riposo. In questo incantevole giardino viveva Psiche cibandosi di miele, ascoltando le musiche degli insetti e degli uccelli, e attendendo il suo sposo. Al mattino la svegliavano le allodole e i mormorio del vento che batteva con ali leggere alla sua finestra, gli spiriti della terra l'accompagnavano invisibili e riempivano il suo cuore della piu' lusinghiera speranza e della piu' ansiosa trepidazione.

    "Quando e da dove giungera' il mio sposo ?" si domandava la bella Psiche e tentava di rappresentarselo nella mente. L'oracolo aveva detto che esso era bello ma anche perfido e misterioso, ed era appunto il suo mistero che piu' di ogni altra cosa rendeva ansioso il cuore della fanciulla. Che cosa le avrebbe detto quando fosse venuto e in che modo avrebbe esercitata la sua perfidia ? L'avrebbe fatta soffrire, sarebbe stato con lei enigmatico e magari anche cattivo, ma ella lo avrebbe vinto e legato a se' col fascino della sua bellezza e con la dolcezza della sua anima innamorata.

    E una notte finalmente lo sposo tanto atteso giunse. La notte era alta e buia, le lucciole con le loro lucernette d'oro si erano nascoste in mezzo ai cespugli, gli usignoli riempivano tuto il giardino delle loro melodie appassionate e le stelle parevano piu' lontane nei gorghi azzurri del cielo Una mano misteriosa tocco' appena la porta della fanciulla, con un colpo lieve come se l'avesse sfiorata l'ala di una rondine, e parve che tutta la casa trasalisse per una divina presenza.

    Psiche si alzo' col cuore che le batteva nel petto come un uccellino prigioniero e apri' la porta. Un'ombra attraverso' la soglia e una voce dolcissima disse:

    -Psiche, sono il tuo sposo.

    -Ben venuto, mio signore - mormoro' la fanciulla.-

    Attendi un minuto che io accenda la mia lampada.

    -No- fece il misterioso personaggio, prendendola amorosamente per mano - ti sara' sempre proibito accendere la lampada quando io vengo a visitarti. Tu non dovrai mai vedermi in volto, peche' se mi vedi mi perderai. Dovrai amarmi nel silenzio e nell'ombra, senza conoscermi; questo e' il comando inesorabile del destino. La voce della sconosciuto vinceva in dolcezza la musica degli usignoli e la sua mano era morbida e soave piu' dei petali dei fiori e delle foglie odorose della salvia. La povera Psiche rimase perplessa e spaventata nell'udire le parole del suo sposo. Perche' non voleva farsi vedere, e come avrebbe fatto ella ad amare un essere che non conosceva, di cui non le era dato di contemplare le sembianze ?

    -Concedimi, mio signore - disse timida la fanciulla - che io, almeno una volta, veda il tuo volto e i tuoi occhi e poi mi sottoporro' ai dettami del destino.

    - NO - sentenzio' fermamente lo sposo - tu dovrai amarmi senza conoscermi: guai a te se tenterai di vedermi ! Nello stesso istante in cui mi vedrai, mi avrai perduto per sempre. Atterrita la fanciulla non disse piu' parola. Si lascio' guidare dallo sposo sconosciuto nel buio della stanza, avverti' le sue labbra profumate che si posavano sulla sua guancia e rimase tutta la notte a discorrere con lui inebriata da una misteriosa dolcezza.

    All'indomani, prima che spuntasse l'alba, lo sposo sconosciuto si licenzio' e dileguo' nell'ombra del giardino, senza che ella potesse indovinare il minimo indizio sulla sua persona. Dopo quella prima sera tutte le notti il personaggio misterioso tornava a visitarla, entrava al buio come un'ombra, l'abbracciava e discorreva con lei a lungo, dicendole le piu' affettuose parole; poi andava a dormire solo in una stanza vicina a quella di Psiche e prima dell'alba la lasciava.

    Queste visite notturne, circondate da tante misteriose e inesplicabili precauzioni, riempivano il cuore di Psiche della piu inquieta perplessita'. Il giorno ella errava nel giardino, con l'anima piena della felicita' che vi avevano versato le parole del suo sposo, il suono della sua voce le rimaneva nelle orechie come una musica inebriante. Era cosi' gentile, cosi' amoroso, cosi' delicato di modi, forse era anche tanto bello, ma perche' non voleva farsi vedere ? Per quale ragione la voleva privare del piacere di contemplare il suo volto, e di fissarlo anche una volta sola negli occhi ?

    Nel buio ella lo toccava, quell volto adorato, e le sembrava quello di un fanciullo. La sua fronte era coperta di riccioli morbidi e profumati e le sue mani erano cosi tenere alle carezze !. Ma le mani potevano ingannarsi. Il responso dell'oracolo aveva affermato, senza possibilita' di equivoco, che il dio che l'avrebbe sposata era bello; ma forse la sua bellezza era una di quelle bellezze orrende che vediamo in certi animali, la bellezza misteriosa ed ermetica in cui la natura si sbizzarrisce nella sua inesauribile fecondita', quella dei serpenti, degli insetti dalle ali iridate e dalle forme mostruise, quella dei ragni e delle libellule cornute ?

    Questo pensiero riempi' d'angoscia la povera Psiche. Forse ella abbracciava al buio un essere orrendo, un dio brutto come Pan, mezzo uomo e mezzo caprone. Forse era invece una bellezza unica e non voleva farsi vedere perche' temeva che la sposa, nel vederlo, per la troppa gioia, avrebbe perso la ragione. Decise ad ogni costo di violare l'ordine ricevuto, ella voleva vederlo il suo sposo divino, anche a costo di impazzire per la grande felicita'. Una notte, mentre quello dormiva, Psiche non potendo reggere piu all'ardente desiderio, si alzo' accese la sua lampada d'oro e velandola con la sua rosea mano, perche' la luce non ferisse gli occhi del dormiente, entro' nella stanza dove lo sposo riposava.

    Leggera come un'ombra, in punta di piedi e col cuore che le batteva come le ali di una farfalla sopra un fiore, si avvicino' al letto. Le cortine erano calate e dietro quelle, tendendo l'orecchio, avverti' il respiro di lui, un respiro placido, soave come quello di un fanciullo. Un'orribile trepidazione la teneva. Aveva paura di sollevarla quella cortina. Forse avrebbe visto un essere mostruoso che l'avrebbe riempita di orrore, forse invece era tanto bello che l'avrebbe fatta morire di gioia.

    Ma la curiosita' e il desiderio furono piu' forti della paura. Sollevo' la cortina, sempre tenendo la fiamma velata con la mano, e rimase smarrita, inebriata.La bella testa su bianco cuscino, una manina sotto la guancia, il suo sposo dormiva sereno come un fiore. Era un fanciullo, il piu' bello e incantevole dei fanciulli. La sua bocca sembrava un bocciolo di rosa, le sue lunghe ciglia adombravano le guance fini e deliziose, il suo corpo nudo era bianco e puro come le giunchiglie.

    Un piccolo grido di meraviglia le usci' dalle labbra ma la sua gioia duro' un attimo. Il fanciullo misterioso si sveglio', fisso' corrucciato Psiche e il suo corpo dileguo' come un fiocco di fumo.

    Da quella notte la bella Psiche lo attese invano; ella aveva perduto il suo sposo per la curiosita' di guardarlo nel viso.



    AMORE E PSICHE



    un altro modo di vedere la leggenda di Amore e Psiche
    Amore e Psiche. Il racconto allude ai riti dei misteri di Iside e già il nome della protagonista, Psiche, termine che in greco significa “anima”, allude al significato mistico della storia, ma vi sono poi tutta una serie di prove a cui dovrà sottoporsi che stanno a significare l’iniziazione ai misteri.
    Psiche, bella figlia di re, suscita l’invidia di Venere che manda da lei suo figlio Amore perché la faccia innamorare dell’uomo più brutto della terra, ma il dio se ne innamora perdutamente e, con l’aiuto di Zefiro, magicamente la fa approdare nel suo palazzo incantato e la fa sua. Da allora ogni notte si unisce a lei, ma solo al buio e avendo cura di nascondere bene il suo volto nell’ombra.
    Una notte Psiche, istigata dalle sorelle, illumina con la lucerna il bel volto di Amore restandone affascinata, però una goccia d’olio cade dalla lampada ustionando lo sposo :il dio se ne va e Venere, adirata, sottopone Psiche ad una serie di prove durissime finché Giove, mosso a compassione, fa in modo che gli sposi possano ricongiungersi. Psiche viene assunta come dea fra gli dei dell’Olimpo e diviene sposa d’Amore.

    Un re ed una regina avevano tre figlie. Le maggiori erano andate in spose a pretendenti di sangue reale, ma la più piccola, di nome Psiche, era talmente bella che nessun uomo osava corteggiarla, tutti l’adoravano come fosse una dea. Alcuni credevano che si trattasse dell’incarnazione di Venere sulla terra. Tutti adoravano e rendevano omaggio a Psiche trascurando però gli altari della vera dea, perfino i templi di Cnido, Pafo e Citera erano disertati per una mortale. Afrodite sentendosi trascurata ed offesa, a causa di una mortale, pensò di vendicarsi con l’aiuto di suo figlio Amore e delle frecce amorose. La vendetta d’Afrodite consisteva di far innamorare Psiche dell’uomo più sfortunato della terra, con il quale doveva condurre una vita di povertà e di dolore. Amore accettò subito la proposta della madre ma, appena vide Psiche rimase incantato della sua bellezza. Confuso dalla splendida visione, fece cadere sul suo stesso piede la freccia preparata per Psiche cadendo cosi, vittima del suo stesso inganno. Egli iniziò cosi ad amare la ragazza e non pensò neanche per un attimo di farle del male. Nel frattempo i genitori di Psiche si preoccupavano perché un gran numero di pretendenti veniva ad ammirare la figlia, ma nessuno aveva il coraggio di sposarla. Il padre, preoccupato decise di consultare un oracolo d’Apollo per sapere se la figlia avesse trovato un marito, l’oracolo però gli comunicò una brutta notizia. Egli avrebbe dovuto lasciare la figlia sulla sommità di una montagna, vestita con abito nuziale. Qui essa sarebbe stata corteggiata da un personaggio temuto dagli stessi dei. Malgrado questo, i genitori non volendo disubbidire alle predizioni dell’oracolo, portarono, al calar del sole, Psiche sulla montagna prescelta vestita di nozze, e la lasciarono lì sola al buio. Solo quando lei restò da sola venne uno Zefiro che la sollevò e la trasportò in volo su un letto di fiori profumati. Psiche si svegliò quando sorse il sole e guardandosi attorno vide un torrente che scorreva all’interno di un boschetto. Sulle rive di questo torrente s’innalzava un palazzo d’aspetto cosi nobile da sembrare quello di un dio. Psiche, quando trovò il coraggio di entrare, scoprì che le sale interne erano più splendide, tutte ricolme di tesori provenienti da ogni parte del mondo, ma la cosa più strana era che tutte quelle ricchezze sembravano abbandonate. Lei di tanto in tanto si domandava di chi fossero tutti quei beni preziosi, e delle voci gli rispondevano che era tutto suo e che loro erano dei servitori al suo servizio. Giunta la sera lei si coricò su un giaciglio e sentì un’ombra che riposava al suo fianco, si spaventò, ma subito dopo, un caldo abbraccio la avvolse e sentì una voce mormorarle che lui era il suo sposo, e che non doveva chiedere chi fosse ma soprattutto non cercare di guardarlo, ma di accontentarsi del suo amore. La soffice voce e le morbide carezze vinsero il cuore di Psiche e lei non fece più domande. Per tutta la notte si scambiarono parole d’amore, ma prima che l’alba arrivasse, il misterioso marito sparì, promettendole che sarebbe tornato appena la notte fosse nuovamente calata. Psiche attendeva con ansia la notte, e con questo l’arrivo del suo invisibile marito, ma i giorni erano lunghi e solitari, quindi decise, con l’assenso del marito, di fare venire le sue sorelle, anche se Amore l’avvertì che sarebbero state causa di dolore e d’infelicità. Il giorno seguente, un Zefiro portò le due sorelle da Psiche, lei fu felice di rivederle, e le due non furono di meno vedendo le ricchezze che possedeva. Ogni volta che le due facevano domande sul marito, Psiche sviava sempre la risposta o rispondeva che era un ricco re che per tutto il giorno andava a caccia. Le sorelle s’insospettirono delle strane risposte che dava Psiche, loro credevano che stesse nascondendo il marito perché era un mostro. Queste allusioni Psiche li smentì tutte, fino a quando non cedette e raccontò che lei non aveva mai visto il marito e che non conosceva nemmeno il suo nome. Allora le due maligne, accecate dalla gelosia, insinuarono nella mente della povera ragazza che suo marito doveva essere un mostro il quale nonostante le sue belle parole non avrebbe tardato a divorarla nel sonno. Quella notte come sempre Amore raggiunse Psiche e dopo averla abbracciata si addormentò. Quando fu sicura che egli dormisse, si alzò e prese una lampada per vederlo e un coltello nel caso in cui le avrebbe fatto del male. Avvicinandosi al marito la luce della lampada gli rivelò il più magnifico dei mostri, Amore era disteso, coi riccioli sparsi sulle guance rosate e le sue ali stavano dolcemente ripiegate sopra le spalle. Accanto a lui c’erano il suo arco e la sua faretra. La ragazza prese fra le mani una delle frecce dalla punta dorata, e subito fu infiammata di rinnovato amore per suo marito. Psiche moriva dalla voglia di baciarlo e sporgendosi, su di lui, fece cadere sulla sua spalla una goccia d’olio bollente dalla lampada. Svegliato di soprassalto, Amore balzò in piedi e capì quello che era successo e disse che lei aveva rovinato il loro amore e che ora erano costretti a separarsi per sempre. Lei si gettò ai suoi piedi ma Amore dispiegò le ali e scomparve nell’aria e con lui anche il castello. La povera Psiche si ritrovò da sola nel buio, chiamando invano l’amore che lei stessa aveva fatto svanire. Il primo pensiero di Psiche fu quello della morte, correndo verso la riva di un fiume lei si gettò dentro ma la corrente pietosa la riportò sull’altra riva, cosi iniziò a vagare per il mondo a cercare il suo amore. Amore, invece, tormentato dalla febbre per la spalla bruciata, o forse dallo stesso dolore di Psiche, trovò rifugio presso la dimora materna. Afrodite, quando venne a sapere che suo figlio aveva osato amare una mortale, che tra l’altro sua rivale, lo aggredì. Ma non potendo fare niente di male al figlio pensò di vendicarsi su Psiche, e con il permesso di Zeus mandò Ermes in giro per il mondo a divulgare la notizia che Psiche doveva essere punita come nemica degli dei, e che il premio per la sua cattura sarebbero stati sette baci che la stessa dea avrebbe donato. La notizia giunse fino alle orecchie di Psiche, che decise di sua volontà di andare sull’Olimpo a chiedere perdono. Appena arrivata sull’Olimpo, Afrodite, le strappò i vestiti e la fece flagellare, affermandole che questa era la punizione di una suocera addolorata per il figlio malato. Dopodiché le ordinò di ammucchiare un cumulo di grano, orzo, miglio e altri semi; di prendere un ciuffo di lana dal dorso di una pecora selvatica dal manto dorato; di riempire un’urna con le acque delle sorgenti dello Stige. In poche parole tutti compiti impossibili, che però Psiche riuscì a compiere con l’aiuto di formiche, che accumularono il grano, di una ninfa, che le spiegò come e quando avvicinare la pecora, e perfino dell’aquila di Zeus, che l’aiutò a prelevare le acque dello Stige. Queste erano solo alcune delle crudeltà che Afrodite infliggeva alla povera Psiche, ma quando Amore seppe di quello che stava succedendo in casa di sua madre, salì sull’Olimpo da Zeus per permettere il suo matrimonio con Psiche. Zeus, non potendo rifiutare la supplica di Amore, fece riunire tutti gli dei dove partecipò anche Psiche. A questa assemblea Zeus decise di elevare al grado di dea, Psiche. Cosi dicendo egli diede la coppa di nettare divino alla mortale che accettò con molta paura. Dopo svariate sofferenze, Psiche fu ben accolta sull’Olimpo, anche da sua suocera poiché aveva ridonato il sorriso al figlio, lo stesso giorno fu allestito un banchetto nuziale per festeggiare la nuova coppia. Amore e Psiche avevano trovato la felicità, ed il loro figlio fu una splendida femminuccia, alla quale fu dato il nome di Voluttà.
     
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